"Beata te che stai a casa!", mi sento dire continuamente. Come se in questo periodo, stare a casa significasse davvero potersi dedicare a sé, fare quelle cose che in condizioni normali si rimandano sempre. Leggere quel libro che prende polvere sul comodino, imparare una lingua o fare pilates con un corso online.
Beata me, è vero, perché ho la fortuna di aver mantenuto il mio lavoro, perché non rischio il contagio come medici e infermieri, perché tra le mura di casa non sudo sotto camici e mascherine per tante ore consecutive.
Ma non sono in vacanza, tempo per me ne ho quanto prima: zero.
Passo la giornata seduta davanti al PC, e mentre rispondo alle email di lavoro sembra di essere a Chi vuol essere milionario: "Mamma, cos'è la vescica natatoria?", "Mamma, che differenza c'è tra viola e violoncello?". "Mamma, ora il PCserve a me", "Mamma, non trovo la matita rossa".
Soffio nasi, scarico, stampo e ricarico schede, proietto video e cerco materiale di recupero per i lavoretti.
Nella mia mezz'ora di pausa pranzo, invece che ingurgitare un tramezzino davanti al PC, scaldare gli avanzi della cena della sera prima nel microonde o mangiare velocemente un'insalata direttamente sulla scrivania, mi trovo a dover preparare il pranzo per 3 o 4 persone, apparecchiare, sparecchiare, variare...
Non sono un eroe, non sono io a mandare avanti l'Italia, ma sono comunque stanca di essere denigrata: a chi continua a farlo, offro una settimana di smart working e didattica a distanza. E per i primi 10, una canzoncina sulle stagioni in inglese in omaggio!
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